Asset Allocation Insights

La nostra opinione mensile sull’asset allocation (gennaio 2018)

Lunedì, 01/08/2018
Lunedì 08/01/2018 - 14:45
Luc Filip Head of Discretionary Portfolio Management
Fabrizio Quirighetti Macroeconomic Strategist
Hartwig Kos
Adrien Pichoud Chief Economist & Senior Portfolio Manager
  • Gli Stati Uniti e l’eurozona continuano a riservare sorprese economiche positive.
  • Manteniamo la nostra preferenza per i mercati azionari, poiché quelli obbligazionari restano cari.

Si continua a ballare

Il contesto economico e finanziario non è cambiato molto nelle scorse settimane. E non lo farà solo perché siamo entrati in un nuovo anno: prevale ancora un’economia in bilico tra espansione e recessione, accompagnata da valutazioni elevate. Le riforme fiscali negli Stati Uniti e il relativo rimpatrio di liquidità sono stati gli unici eventi economici degni di nota. Tali misure sosterranno temporaneamente la crescita e incrementeranno di circa USD 10 gli utili per azione dell’indice S&P 500; in alternativa, contribuiranno quest’anno a un’ulteriore crescita degli utili pari a circa il 7%, a un valore medio che le stime del consensus collocano intono a USD 150. Resta tuttavia aperta la domanda di come verrà suddivisa la liquidità rimpatriata, tra operazioni di M&A, dividendi straordinari e investimenti produttivi. La risposta varierà in base a titoli e settori ma, ancora una volta, questo stimolo non dovrebbe alterare le previsioni economiche oltre il 2018.

Nel frattempo, l’inflazione USA continua a sorprendere al ribasso, nonostante la ridotta disoccupazione, i maggiori prezzi delle materie prime e la solida crescita. Lo stesso vale per le altre principali economie sviluppate: l’inflazione, o meglio l’assenza della stessa, permette alle banche centrali di tergiversare su posizioni accomodanti. Oltre ai consueti fattori strutturali, quali invecchiamento della popolazione, bassa produttività ed eccessivo indebitamento, anche l’effetto Amazon sembra aver contribuito a tenere l’inflazione a debita distanza poiché, grazie alla tecnologia, l’offerta tende ora ad adeguarsi tanto rapidamente quanto la domanda. In futuro, intravediamo rischi di rialzo per la crescita nella prima parte del 2018, soprattutto negli Stati Uniti. Anche l’inflazione dovrebbe mostrare segnali più chiari di ripresa verso la fine del primo trimestre.

Manteniamo una posizione costruttiva in termini di rischio per i nostri portafogli, privilegiando le azioni (in questo ordine: giapponesi, europee e infine statunitensi) rispetto al credito. Il segmento high yield offre, nel complesso, un limitato potenziale di rialzo, fatta eccezione per un modesto carry, che è persino inferiore rispetto al rendimento da dividendi sui mercati europei. Al contempo, su di esso incombono vari rischi, tra cui un peggioramento del momentum economico e/o una maggiore inflazione e, pertanto, una normalizzazione dei tassi che potrebbe essere avviata il prossimo anno. Sono quindi richieste maggiori attenzione e selettività. Alcuni specifici paesi, quali il Messico e la Turchia, continuano a offrire un certo valore relativo, per quanto non eccelso, nel debito dei mercati emergenti in valuta forte e locale.

Anche se a nostro parere sono da escludere un’impennata dell’inflazione e massicce vendite di obbligazioni (prevediamo al contrario un mercato obbligazionario “timidamente” ribassista), abbiamo mantenuto ad “avversione” la posizione sulla duration. Nell’attuale contesto economico e alla luce della propensione al rischio che imperversa sui mercati finanziari, i tassi continuano ad avere la strada spianata verso il rialzo. Tra le alternative possibili, la duration USA è il male minore, preferibilmente attraverso strumenti indicizzati all’inflazione. Come di consueto, continuiamo a temere soprattutto una netta rivalutazione della parte lunga delle curve dei titoli di Stato, che potrebbe provocare revisioni al ribasso delle valutazioni in numerose classi di attivi. L’inflazione è il grande nemico degli attivi finanziari. Tuttavia, le azioni non dovrebbero subire una brusca correzione, a patto che le pressioni inflazionistiche restino favorevoli e il livello finale, la velocità alla quale vengono aumentati i tassi, nonché i motivi sottostanti si mantengano ragionevoli (ossia sincronizzati con il contesto macroeconomico). In breve, la congiuntura favorevole dovrebbe proseguire anche nel nuovo anno.

_Fabrizio Quirighetti

Sintesi del panorama economico ed esame dell’economia globale

L’economia è riuscita a riservare un’altra sorpresa positiva prima della fine del 2017: il Congresso statunitense ha infine raggiunto un accordo per approvare la tanto attesa riforma fiscale che, dopo l’elezione di Donald Trump, aveva alimentato numerose speculazioni di mercato. In un contesto in cui i dati economici USA avevano già ritrovato vigore, dopo un primo trimestre sottotono, questa riforma fiscale può soltanto sostenere ed estendere l’attuale dinamica positiva, per quanto il suo impatto diretto quantificabile sul PIL dovrebbe risultare modesto. Un tale sviluppo non è trascurabile se riguarda la maggiore economia mondiale e soprattutto se si considera che questo solido momentum positivo è presente anche in altre economie sviluppate, Europa in testa. Per non parlare del fatto che i Paesi emergenti beneficiano di una robusta domanda esterna e di prezzi delle materie prime in recupero. Da una prospettiva macroeconomica, a inizio 2018 continua a prevalere un contesto in bilico tra espansione e recessione. Sul breve termine si intravedono persino più rischi di rialzo che di ribasso per il ciclo economico. La grande incognita per le previsioni del 2018 è l’inflazione: è infatti aumentato il rischio di una ripresa, anche modesta, per gli indici dei prezzi; inoltre, la velocità e la portata di un’eventuale accelerazione potrebbero mettere sotto ulteriore pressione le banche centrali, chiamate ad adottare un approccio più rigoroso alla normalizzazione della politica monetaria.

 

Crescita

Tutte le grandi economie sviluppate registrano tassi di crescita del PIL positivi e spesso superiori al loro potenziale. L’Europa continentale è senza dubbio il motore di questo momentum globale, con la solidità dell’eurozona che si ripercuote in modo benefico sulle vicine economie, soprattutto quelle emergenti dell’Europa orientale. Unitamente alle favorevoli previsioni di crescita negli Stati Uniti, tali trend sono destinati a proseguire nel primo semestre del 2018 in assenza di shock esogeni.

 

Inflazione

Nel 2017 i tassi d’inflazione nelle economie sviluppate sono rimasti insensibili alla solidità del ciclo economico. Per quanto non sia ancora riscontrabile un trend chiaro, si moltiplicano i segnali di un rialzo (per quanto limitato). Per tale motivo, nel 2018 l’inflazione sarà l’osservato speciale numero uno.

 

Orientamento della politica monetaria

Il ritmo e la portata dell’attuale (e finora molto prudente) trend di normalizzazione adottato dalle principali banche centrali dipenderanno dalla dinamica dell’inflazione. Qualora l’inflazione si riveli superiore alle aspettative, in un contesto segnato da una solida crescita economica, le banche centrali potrebbero ritenere necessario adeguare l’attuale posizione accomodante più rapidamente del previsto.

“Da una prospettiva macroeconomica, a inizio 2018 continua a prevalere un contesto in bilico tra espansione e recessione, con possibili rischi di rialzo sul breve termine.”
Adrien Pichoud Chief Economist & Senior Portfolio Manager
Trend e livello del PMI manifatturiero
Indice PMI manifatturiero
Fonte
Fonti: Factset, Markit, SYZ Asset Management. Dati al: 22 dicembre 2017
Trend inflazionistico e deviazione dall’obiettivo della Banca centrale
Trend inflazionistico
Fonte
Fonti: Factset, Markit, SYZ Asset Management. Dati al: 22 dicembre 2017

Economie sviluppate

La dinamica della crescita statunitense non ha mostrato segni di cedimento nelle ultime settimane del 2017, con il sentiment dei consumatori, la spesa per i consumi, gli ordini di beni durevoli, la produzione industriale, i dati immobiliari e gli indici sulla fiducia delle imprese che hanno tutti indicato una solida espansione e un ulteriore trimestre con una crescita del PIL su base annua pari a circa il 3%. Di conseguenza, la Federal Reserve è stata in grado di procedere al terzo aumento annuale dei tassi ufficiali sul breve termine, dimostrandosi fiduciosa che la carenza di mano d’opera qualificata si tradurrà infine in un’accelerazione della crescita dei salari e in una crescente inflazione dei prezzi. L’approvazione della tanto attesa riforma fiscale quando l’anno era ormai agli sgoccioli può soltanto sostenere questa positiva dinamica di crescita, anche se l’impatto diretto risulterà probabilmente modesto. L’“impatto sulla fiducia” potrebbe essere sufficiente per sostenere le positive dinamiche esistenti sul fronte di investimenti, settore immobiliare e persino dei consumi, poiché di recente il credito al consumo si è ripreso nonostante tassi a breve termine in aumento.

Nel frattempo, nell’eurozona è proseguita la straordinaria accelerazione della crescita osservabile da metà 2016. È in atto una vigorosa risalita di consumi e investimenti interni, sostenuti dalla solida domanda esterna e da condizioni di accesso al credito molto favorevoli. Questo miglioramento interessa tutte le economie dell’Unione monetaria e si ripercuote in modo benefico anche sulle vicine economie che non appartengono all’area euro, come la Svizzera, la Scandinavia e l’Europa orientale. Anche se l’inflazione permane piuttosto bassa nell’eurozona, è probabile che, alla fine, il positivo contesto di crescita stimolerà il dibattito sulla normalizzazione della politica adottata dalla Banca centrale europea; tuttavia questo non avverrà prima di metà anno, poiché l’attuale programma di QE ridotto giungerà a scadenza soltanto a settembre.

Con ogni probabilità, anche la Banca del Giappone inizierà a discutere seriamente di normalizzazione soltanto dall’estate, in quanto il mandato di Kuroda si concluderà ad aprile. Al momento, il governatore uscente sembra il favorito ma, chiunque assuma le redini della Banca del Giappone nei prossimi cinque anni potrebbe anche essere chiamato a normalizzare gradualmente la politica monetaria, in un contesto segnato da una crescita economica ancora solida.

 

Economie emergenti

Le dinamiche di crescita continuano a essere positive nelle economie emergenti, poiché una combinazione di fattori macroeconomici globali favorevoli sostiene il livello complessivo di attività: la solida domanda esterna proveniente dalle economie sviluppate, i prezzi energetici e delle materie prime in aumento, un dollaro USA più debole, un’inflazione in calo e talvolta persino bassa (con alcune eccezioni di rilievo come Turchia e Messico) consentono alle banche centrali di allentare la propria politica monetaria. La dinamica dell’eurozona si riflette positivamente sui Paesi dell’Europa orientale, ad esempio la Polonia. Le economie dell’Asia orientale sono favorite da un tasso di crescita cinese relativamente stabile e da una robusta domanda globale, soprattutto di prodotti tecnologici. Tra le principali economie dei mercati emergenti, il Sudafrica è l’unica a presentare ancora un quadro economico meno roseo. Nonostante si speri che i recenti avvicendamenti politici portino a un cambio di direzione nella gestione degli affari economici, è improbabile che producano effetti concreti sul breve termine.

_Adrien Pichoud

Sia gli Stati Uniti che l’eurozona hanno riservato sorprese economiche molto positive
Sia gli Stati Uniti che l’eurozona
Fonte
Fonti: Factset, SYZ Asset Management. Dati al: 9 gennaio 2018

Gruppo di strategie d’investimento Conclusioni e valutazione degli attivi

Rischio e duration

La nostra valutazione rimane invariata.

 

Mercati azionari

In termini di preferenze relative sui mercati azionari, abbiamo rivisto al rialzo di un notch a “lieve preferenza” Regno Unito e Canada. Questa rettifica è stata dettata da valutazioni interessanti se confrontate con quelle delle controparti. Anche il Giappone è stato innalzato di un notch da “lieve preferenza” a “preferenza”, diventando il nostro mercato azionario preferito. Perché questo cambiamento?

Innanzi tutto, quello giapponese è meno caro rispetto ad altri mercati azionari. Il team multi-asset aveva già individuato da tempo e illustrato nel dettaglio questa opportunità. Il solido contesto economico, le deboli pressioni inflazionistiche e la posizione ancora molto accomodante della banca centrale sono ulteriori fattori che favoriscono le azioni giapponesi. Inoltre, le società giapponesi presentano un rapporto di indebitamento molto più basso rispetto a gran parte delle società quotate sugli altri mercati azionari occidentali. Ma cosa significa? Negli scorsi dieci anni, soprattutto negli Stati Uniti, le società hanno emesso debito per riacquistare azioni. Questi riacquisti sono stati tra i principali fattori che hanno sostenuto in primis la performance delle azioni USA. Tuttavia, hanno anche avuto ripercussioni negative sui bilanci di tali società, con un indebitamento in costante ascesa. In sostanza, è necessario utilizzare una parte sempre maggiore del risultato operativo (EBIT) aziendale per rimborsare gli interessi passivi, con conseguente calo del reddito netto disponibile per altre finalità. Per illustrare questo fenomeno, è sufficiente confrontare l’attuale rendimento da dividendi dell’indice TOPIX con quello dell’indice S&P 500. Il valore del primo è pari all’1,74%, lievemente più basso rispetto all’1,82% del secondo. Tuttavia, il TOPIX presenta un tasso di distribuzione dei dividendi inferiore al 30%, mentre quello dell’S&P è superiore al 50%. Questo significa che, in Giappone, è necessario distribuire una quota minore di utili netti per mantenere un rendimento da dividendi identico a quello statunitense. Questa differenza è ascrivibile in parte al divario tra Giappone e Stati Uniti in termini di valutazioni. Tuttavia, dipende anche dal fatto che, negli Stati Uniti, una quota più alta dell’EBIT è assorbita dal pagamento di interessi e, pertanto, il reddito netto complessivo dal quale vengono distribuiti i dividendi è relativamente più limitato. Inoltre, l’attuale contesto è segnato da un graduale aumento dei tassi d’interesse; di conseguenza, la leva sulle azioni USA potrebbe infine iniziare a farsi sentire. Il Giappone è molto più al riparo da questo rischio e la Banca del Giappone è di gran lunga più indietro rispetto alla Federal Reserve riguardo al ciclo di aumenti. Infine, per quanto gli investitori guardino con ottimismo al Giappone, il posizionamento sul mercato è ancora molto ridotto.

“L’attuale contesto è segnato da un graduale aumento dei tassi d’interesse; di conseguenza, la leva sulle azioni USA potrebbe infine iniziare a farsi sentire.”
Hartwig Kos

Mercati obbligazionari

Dopo la solida performance conseguita dai mercati obbligazionari a novembre e a inizio dicembre 2017, la valutazione dei linker italiani, dei Bund tedeschi e dei titoli di Stato australiani è cambiata. Pertanto, quello americano è ora l’unico mercato sviluppato dei titoli di Stato al quale abbiamo assegnato una “preferenza”; tutti gli altri spaziano da “lieve avversione” ad “avversione”.

Questo non dovrebbe tuttavia sorprendere: i titoli del tesoro statunitensi offrono infatti un carry soddisfacente rispetto agli altri mercati obbligazionari. Inoltre, nel segmento a due anni di tale mercato è stato osservato, negli scorsi sei mesi, un persistente rialzo dei rendimenti. Il rendimento dei titoli del tesoro a 2 anni si attesta attualmente al 2%, valore superiore al rendimento da dividendi dell’indice S&P 500. In pratica, gli investitori statunitensi possono ora contare su un’alternativa generatrice di reddito alle azioni USA. Si tratta di un cambiamento piuttosto profondo nelle valutazioni relative degli attivi che, in futuro, potrebbe causare reazioni a catena.

 

Forex e Liquidità

La nostra valutazione rimane invariata.

_Hartwig Kos

“Il rendimento dei titoli del tesoro a 2 anni si attesta attualmente al 2%, valore superiore al rendimento
da dividendi dell’indice S&P 500.”
Hartwig Kos
Opinioni di investimento
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