Asset Allocation Insights

La nostra opinione mensile sull’asset allocation (Marzo 2017)

Venerdì, 03/17/2017

I mercati azionari e gli attivi a rischio in generale continuano a sfidare la forza di gravità delle valutazioni fondamentali.

Venerdì 17/03/2017 - 17:37
Luc Filip Head of Discretionary Portfolio Management
Fabrizio Quirighetti Macroeconomic Strategist
Hartwig Kos
Adrien Pichoud Chief Economist & Senior Portfolio Manager
  • La maggior parte dei sondaggi sulle imprese e degli indicatori di fiducia prospettano uno scenario caratterizzato dal miglioramento della crescita nel primo trimestre dell’anno.
  • Le valutazioni obbligazionarie sono state e sono fonte di preoccupazione per noi; ciononostante, negli ultimi mesi sui mercati dei titoli di Stato occidentali ha rifatto capolino un po’ di valore.
  • Anche se non si può propriamente parlare di un’esuberanza del tutto irrazionale, i mercati stanno chiaramente scontando un mondo perfetto.

Gli alberi non crescono fino al cielo

I mercati azionari e gli attivi a rischio in generale continuano a sfidare la forza di gravità delle valutazioni fondamentali. Anche se non si può propriamente parlare di un’esuberanza del tutto irrazionale, i mercati stanno chiaramente scontando un mondo perfetto in cui la crescita dell’economia e degli utili non può che sorprendere al rialzo, le pressioni inflazionistiche non esistono, le banche centrali saranno per sempre accomodanti e il rischio politico non si materializzerà mai. Le valutazioni elevate delle società tecnologiche statunitensi sono emblematiche della distanza virtuale che le separa dalla realtà del difficile mondo in cui viviamo. La domanda sorge spontanea: gli investitori stanno avanzando sulle uova? I buoni del Tesoro americano avanzano in maniera sconsiderata! C'è da stupirsi della mancata reazione di questi ultimi in seguito al tono piuttosto duro della Fed circa i dati sull'inflazione che sono risultati al di sopra delle aspettative. Inoltre, stando agli ultimi dati, anche gli indicatori principali, i sondaggi sulla fiducia e l’attività economica negli Stati Uniti hanno ulteriormente accelerato. I casi sono due: o il mercato obbligazionario ha già anticipato gran parte del recupero ciclico e delle sue conseguenze sulla politica monetaria della Fed (possibile, dato il posizionamento short estremamente speculativo nei future sui buoni del Tesoro USA), oppure è vittima di una certa forma di condiscendenza o cecità. Dove sono quelli con i piedi per terra?
Allo stesso tempo non ci sono molti attivi finanziari che possono vantarsi di fungere da paracadute in caso di scenario avverso e le cui valutazioni sono diventate più interessanti in seguito alle elezioni americane. Di conseguenza, il tradizionale valore aggiunto dei buoni del Tesoro americano in termini di rendimento corretto per il rischio all'interno di un portafoglio bilanciato è considerevolmente migliorato. Ciò consente agli investitori, soprattutto ai fondi puramente quantitativi, di continuare ad aggiungere attivi a rischio (azioni, debito high yield, valute emergenti) diluendo la loro volatilità e il rischio innato con una buona dose di queste obbligazioni. Magico, vero? Sì, ma solo fino a quando non ci sarà un cambiamento significativo di volatilità o di correlazioni in una delle grandi classi di attivi. Più il tempo passa, più il composto diventa grande e instabile.
Dato che l'inflazione non sembra ancora pronta a invadere il mondo occidentale, che l'economia non mostra ancora segni di affanno e che il primo turno delle elezioni presidenziali in Francia si avvicina, forse è ancora troppo presto per preoccuparsi. O forse no. In ogni caso, non vogliamo andare all’inseguimento di mercati al rialzo che non siano sostenuti da motivazioni essenzialmente buone, sulla base del contesto economico (che per ora sembra buono) e di finalità di valutazione (che ci preoccupano). Preferiamo essere piuttosto selettivi sul modo in cui allochiamo il nostro budget di rischio, concentrandoci su aree in cui sentiamo il rischio remunerato. Lascio i più temerari a meditare sui seguenti detti, nella speranza che possano essere per loro buoni consigli o, se così non fosse, che li attanaglino come attanagliano me. “Gli alberi non crescono fino al cielo” e “non è mai morto nessuno per aver venduto troppo presto”.

_Fabrizio Quirighetti 

Sintesi del panorama economico

L’attività economica globale cavalca il forte momentum ciclico manifestatosi alla fine della scorsa estate. La maggior parte dei sondaggi sulle imprese e degli indicatori di fiducia prospettano uno scenario caratterizzato dal miglioramento della crescita nel primo trimestre dell’anno. Da un punto di vista economico, permane in essere lo “scenario reflazionista”. Tuttavia, alcuni elementi giustificano una mitigazione dell’ottimismo generato da questa serie di sorprese economiche positive. Il rischio politico è ovviamente uno di questi, non solo in Europa con le imminenti elezioni, ma anche negli USA dove l’amministrazione Trump deve ora concretizzare la drastica agenda economica annunciata in campagna elettorale. La politica monetaria è un altro elemento importante, poiché la crescita economica più sostenuta e l’inflazione in rialzo spingono sulla Fed (e forse sulla BCE) affinché abbandoni la posizione estremamente accomodante, con impatti difficili da quantificare sulle economie avanzate molto indebitate. Altrettanto difficile da quantificare è l’impatto netto, sulle economie emergenti, dell’aumento dei tassi e della forza del dollaro rispetto alla domanda globale più sostenuta. Tenere presenti questi elementi potrebbe essere utile per evitare di essere colti di sorpresa quando l’attuale crescendo economico perderà forza più avanti nel corso dell’anno. 


Crescita
Dal punto di vista del ciclo aziendale, il sole risplende sulle economie avanzate, Sulle quelle emergenti, invece, vi sono alcune nubi, con fattori nazionali specifici che impediscono alla dinamica di crescita di essere diffusa. La maggior parte di tali economie registra comunque una crescita economica positiva.


Inflazione
Lo stesso può dirsi delle dinamiche dell’inflazione, sostenute da effetti base favorevoli e, in alcune economie emergenti, dalla debolezza valutaria. Tuttavia, vale la pena ricordare che l’inflazione core, ossia l’inflazione che non tiene conto dell’impatto temporaneo dei prezzi delle materie prime e delle oscillazioni di cambio, continua a essere bassa nel mondo sviluppato, segnale che l’attuale accelerazione potrebbe essere provvisoria.


Posizione della politica monetaria
Nell’attuale contesto di crescita e inflazione, la politica monetaria tende logicamente verso una stretta piuttosto che un allentamento. Tuttavia, deve essere operata una netta distinzione tra le economie avanzate, dove alcune banche centrali cominciano solo a prendere in considerazione un graduale abbandono della posizione estremamente accomodante degli ultimi anni, e le economie emergenti dove, nella maggior parte dei paesi, la politica monetaria è già in una certa misura restrittiva. 

L’attività economica globale cavalca il forte momentum ciclico manifestatosi alla fine della scorsa estate.
Adrien Pichoud Chief Economist & Senior Portfolio Manager
Trend e livello del PMI manifatturiero
Trend e livello del PMI manifatturiero
Trend inflazionistico e deviazione dall’obiettivo della Banca centrale
Trend inflazionistico e deviazione dall’obiettivo della Banca centrale

Economie avanzate
Gli indicatori economici USA riconfermano il netto miglioramento del sentiment delle imprese e dei consumatori, con diversi indicatori ai massimi pluriennali. Tuttavia, colpisce che gli “hard data” quali la produzione industriale, gli investimenti delle imprese e la spesa per consumi non abbiano ancora, per il momento, rispecchiato questo miglioramento. Rimane ancora da vedere se lo scossone di fiducia positivo si tradurrà in un’accelerazione sostenuta della crescita del PIL o se la delusione per le riforme fiscali attese e l’impatto della stretta sulle condizioni finanziarie manterranno alla fine la crescita su una linea “bassa ma positiva”, come negli ultimi anni. 
In Europa, mentre l’agenda politica alimenta l’incertezza sulle previsioni, gli indici economici continuano a riflettere una solida e generalizzata dinamica positiva, coerente con la crescita del PIL superiore al 2% nell’eurozona. L’accelerazione strepitosa dell’inflazione molto probabilmente svanirà con l’evaporare degli effetti base relativi all’energia, ma solleva comunque richieste, in particolare dalla Germania, per una reazione della BCE e un taglio del programma di QE. 
Tra le economie avanzate, il Giappone sembra perdere terreno nell’attuale dinamica di inflazione e crescita, forse a causa del breve periodo di forza dello yen lo scorso anno che comincia a trasferirsi nei dati economici. 


Economie emergenti
Il quadro macroeconomico è più contrastante nell’universo emergente. Alcune economie beneficiano della dinamica di crescita positiva dei mercati avanzati e mostrano un momentum positivo, in particolare laddove le politiche economiche interne riescono ad attutire l’impatto dei cambi globali e l’oscillazione dei tassi. La Cina e il Sud-Est asiatico rientrano attualmente in questa categoria. La maggior parte dei paesi dell’Europa orientale beneficia della dinamica dell’eurozona.
Un altro gruppo di economie emergenti invece si sta ancora riprendendo da un 2016 difficile (la Russia è il paese che ha recuperato di più, mentre Brasile e Sudafrica non sono ancora fuori pericolo). Le previsioni migliorano e lasciano gradualmente spazio a politiche monetarie meno restrittive, rendendo possibile un “circolo virtuoso” che porterà a una ripresa della crescita quest’anno.
Infine, alcune grandi economie emergenti (la Turchia, il Messico e in misura minore l’India) sono messe sotto pressione da fattori specifici e sono entrate in un “circolo vizioso” in cui la banca centrale è costretta ad adottare una politica monetaria restrittiva a causa del rialzo dell’inflazione, in un momento in cui la crescita rallenta. 

_Adrien Pichoud 

Gruppo di strategie d’investimento: principali conclusioni

Rischio e duration 
La nostra valutazione rimane invariata. Visto il numero di potenziali fattori di rischio all’orizzonte, l’estrema calma dell’attuale scenario di mercato è chiaramente fonte di preoccupazione. L’imprevedibilità politica di Donald Trump, oltre alle incertezze su tempi e modalità delle variazioni di politica monetaria da parte della Fed e della BCE, potrebbero rapidamente sconvolgere il sentiment degli investitori. Inoltre, benché non sia la migliore delle ipotesi, le diverse elezioni politiche europee dei prossimi mesi potrebbero anche gettare il continente in una grave crisi di identità, potenzialmente anche più pericolosa di quella che aveva attraversato l’Europa nel 2011. Di conseguenza, crediamo che al momento non sarebbe saggio lasciarsi convincere a proiettare mentalmente questo scenario di calma di mercato troppo avanti nel tempo e aggiungere quindi rischio al portafoglio.

Pur ritenendo che le elezioni francesi potrebbero, a prescindere dall’esito della consultazione, fungere da catalizzatore per un rally significativo delle azioni europee, non ignoriamo la potenziale volatilità che potrebbe materializzarsi da qui al voto.
Hartwig Kos

Mercati azionari
A livello di valutazioni non vi sono state variazioni degne di nota, benché gli utili societari abbiano cominciato a migliorare. Questo è ovviamente un segnale incoraggiante e in futuro è possibile attendersi ulteriori miglioramenti su questo fronte. Purtroppo, gli operatori del mercato attualmente badano pochissimo alle valutazioni azionarie e ora più che mai l’attenzione è focalizzata sul sentiment. A rischio magari di perdere il filo. Un ottimo esempio dell’assoluta mancanza di considerazione delle valutazioni da parte degli investitori è il Nasdaq. Negli ultimi anni l’indice ha di certo avuto un andamento strepitoso e anche da inizio anno ha registrato una performance quasi doppia a quella dello S&P 500. Tuttavia, in termini di valutazioni, non c’è nulla che giustifichi una simile euforia. Il trailing P/E è prossimo a 41, quasi il doppio del P/E dello S&P 500, e gli analisti prevedono che gli utili di questo indice aumenteranno di oltre il doppio nel prossimo anno. Nonostante questo, il leading P/E (ossia il P/E che tiene conto delle previsioni di utili degli analisti) è comunque più alto del 20% rispetto al leading P/E dello S&P 500 (un indice che riteniamo innanzitutto caro). Livelli di valutazione del genere possono diventare molto più elevati di così, in particolare per quanto riguarda il Nasdaq. I mercati azionari statunitensi godono chiaramente del sostegno politico fornito da Donald Trump, ma è senza dubbio preoccupante vedere livelli così elevati di ottimismo sul mercato. Sul versante delle azioni statunitensi, la nostra posizione rimane invariata; prediligiamo le aree cicliche e trascurate del mercato, dove le valutazioni sono ancora più accettabili. Per le azioni europee entra in gioco il sentiment, anche se prevalentemente negativo purtroppo. Il rischio politico offusca quanto di positivo hanno effettivamente da offrire i mercati azionari. Pur ritenendo che le elezioni francesi potrebbero, a prescindere dall’esito della consultazione, fungere da catalizzatore per un rally significativo delle azioni europee, non ignoriamo la potenziale volatilità che potrebbe materializzarsi da qui al voto. Di conseguenza, Francia, Italia e Spagna sono state declassate per tenere conto di questi timori.  Al contempo, riteniamo appropriato incrementare la posizione sui mercati emergenti. Da un lato perché le valutazioni sono alquanto migliorate e, dall’altro, perché la forza del dollaro USA sembra attenuarsi. Inoltre, il tono più conciliante di Trump nei confronti della Cina ha smorzato i timori di una guerra commerciale globale. E poi c’è il sentiment. Sui mercati azionari globali gli investitori sono stretti tra l’incudine e il martello poiché, lasciando da parte per un momento il Giappone, le azioni statunitensi sono troppo care e quelle europee troppo rischiose. In questo senso, nei mesi a venire i mercati emergenti potrebbero anche diventare (in modo singolare) il “mercato sicuro, celestiale e conveniente” per gli investitori.

Temiamo che lo spread Francia-Germania possa superare i massimi del 2011, quando i titoli di Stato francesi erano scambiati a un premio di 190 punti base (1,9%) contro gli omologhi tedeschi.
Hartwig Kos

Mercati obbligazionari 
Le valutazioni obbligazionarie sono state e sono fonte di preoccupazione per noi; ciononostante, negli ultimi mesi sui mercati dei titoli di Stato occidentali ha rifatto capolino un po’ di valore. Nello specifico, il mercato obbligazionario statunitense offre un valore decisamente migliore rispetto agli altri mercati dei titoli di Stato core quali Bund, Gilt e JGB. In Europa, i mercati obbligazionari periferici hanno cominciato ancora una volta a comportarsi come strumenti di credito, ossia scendendo in periodi di avversione al rischio e rialzandosi durante le fasi positive. I due mercati più vulnerabili in Europa a nostro parere sono Francia e Italia. I rendimenti obbligazionari francesi attualmente sono scambiati a un premio di 70 punti base (0,7%) rispetto agli omologhi tedeschi. Nell’estate del 2016 il premio era di appena 18 punti base (0,18%). Questo significa che i timori politici francesi sono chiaramente in cima ai pensieri degli investitori. Crediamo che questo premio di rendimento (premio di rischio) della Francia rispetto alla Germania possa ampliarsi di molto.  Temiamo addirittura che questo spread possa superare i massimi del 2011, quando le obbligazioni francesi erano scambiate a un premio di 190 punti base (1,9%) contro le omologhe tedesche. Nel 2011 la Francia era considerata indiscutibilmente un paese core dell’eurozona. Attualmente, viste le difficoltà economiche in cui versa, non è chiaro se possa essere ancora inteso come tale (almeno da un punto di vista economico). Inoltre, la crisi del 2011 era una crisi finanziaria, risolvibile con l’intervento della BCE. L’attuale crisi europea, invece, è una crisi di identità, intrinsecamente molto più difficile da risolvere. Pertanto i vecchi punti di riferimento che evidenziavano valutazioni estreme, come il picco del 2011 nei rendimenti francesi rispetto a quelli tedeschi, potrebbero non essere applicabili a questo punto. Consapevoli delle vulnerabilità sul mercato obbligazionario europeo, abbiamo declassato Francia, Italia e l’intero blocco del credito investment grade portandoli a “forte avversione”. Non vi sono state altre variazioni nella nostra valutazione, ad eccezione di un incremento delle obbligazioni polacche in valuta locale. Questo incremento è stato operato in ragione di un contesto evidentemente più favorevole per gli attivi dei mercati emergenti in generale, a cui si aggiunge il fatto che lo zloty è conveniente e le obbligazioni polacche offrono un rendimento reale sostanziale. Inoltre, l’attività economica in Polonia sta decisamente migliorando mentre le pressioni inflazionistiche rimangono contenute. Ma la considerazione più ampia alla base di questa decisione si fonda, ancora una volta, sul sentiment del mercato. A nostro parere le obbligazioni polacche sono attivi europei, ma a livello globale gli investitori non la pensano allo stesso modo. Per l’investitore medio la Polonia è un mercato emergente. Questo la rende un mercato strano e straordinario nel senso che le obbligazioni polacche hanno tratti tipici sia dell’Europa che dei mercati emergenti. Visti i nostri timori sui mercati obbligazionari periferici europei, la Polonia potrebbe essere un modo efficace per diversificare i portafogli. I rendimenti locali del decennale polacco attualmente si attestano al 3,8%, prossimi ai livelli a cui sono scambiati i titoli di Stato portoghesi. Per chi non si sentisse a proprio agio con il rischio zloty, il rendimento di un’obbligazione locale polacca coperta contro l’euro è di circa l’1,6%, prossimo ai livelli a cui sono scambiati i titoli di Stato spagnoli.

Mercato dei cambi, investimenti alternativi e liquidità
La nostra valutazione rimane invariata, la liquidità è sovrana.

_Hartwig Kos