Tuttavia, ritengo errato considerare queste strategie come forze opposte. Per quanto l’ascesa della gestione passiva rappresenti una sfida, i gestori realmente attivi dovrebbero evitare di soffermarsi troppo sul crescente potere del beta e, al contrario, concentrarsi sulla generazione di valore per gli investitori.
Le strategie passive hanno fatto la loro comparsa sulla scena finanziaria in modo inusuale. Nel 1975 John C. Bogle, fondatore di Vanguard, ha rivoluzionato il mondo della finanza creando una gestione indicizzata che non richiedeva la presenza di un gestore attivo. Per il suo modello si è ispirato a una ricerca pubblicata nel 1974 dall’economista premio Nobel Paul Samuelson.
Da allora, l’affermazione dei veicoli d’investimento passivi ha contribuito a un cambiamento positivo: una naturale evoluzione frutto di una maggiore innovazione e di un controllo più rigoroso di oneri e commissioni. Le strategie passive hanno offerto un’esposizione economicamente vantaggiosa ai mercati finanziari, nonché un più ampio accesso a classi di attivi un tempo riservate a pochi operatori. Ma forse verranno ricordate soprattutto per aver democratizzato il mondo degli investimenti, consentendo a un maggior numero di piccoli investitori di fare il loro ingresso nel mercato tramite gli emergenti broker “automatizzati”.
Oggi, ad oltre quarant’anni dalla loro introduzione, i dati indicano in misura crescente che gli investimenti passivi hanno sovraperformato la stragrande maggioranza dei fondi gestiti attivamente. Questo impone una riflessione sull’adeguatezza delle commissioni di gestione, soprattutto in tempi di crescita abulica e tassi estremamente bassi. L’attenzione sull’universo della gestione attiva non è mai stata tanto alta ed è giunto il momento per i gestori attivi di dimostrare il loro valore.