Asset Allocation Insights

La nostra opinione mensile sull’asset allocation (novembre 2018)

Giovedì, 11/22/2018

A ottobre i mercati finanziari hanno segnato una brusca correzione a fronte dei timori sul rallentamento cinese, sul picco degli utili, sulla guerra commerciale, sulla legge di bilancio italiana e sulla stretta della politica monetaria negli Stati Uniti. Il nostro orientamento complessivo di propensione al rischio globale si mantiene positivo, in particolare nei confronti delle azioni statunitensi e della reale alternativa offerta dai Treasury statunitensi, mentre confermiamo l’avversione ai mercati del credito. Poiché le prospettive di crescita sono ancora positive e l’inflazione non costituisce una minaccia, abbiamo strutturato il nostro posizionamento in modo da beneficiare della recente correzione di mercato.

Giovedì 22/11/2018 - 08:00
Fabrizio Quirighetti Macroeconomic Strategist
Adrien Pichoud Chief Economist & Senior Portfolio Manager
Maurice Harari Senior Portfolio Manager
Luc Filip Head of Discretionary Portfolio Management

Addio, TINA

Il periodo di Halloween non ha risparmiato emozioni forti agli investitori, i quali, spaventati a turno da Donald Trump, Jerome Powell e Matteo Salvini, hanno vissuto uno dei mesi più terrificanti di sempre.

Malgrado i legittimi timori sulla Cina e sull’inversione di tendenza degli utili, il vero catalizzatore della correzione di ottobre è stata l’improvvisa ricomparsa di TIARA, che non è né un uragano, né la sorella della bambola assassina Chucky, ma l’acronimo della frase “there is a real alternative”, cioè “esiste una vera alternativa”. TIARA è il nuovo mantra che, dopo un decennio di repressione finanziaria, sostituisce l’acronimo TINA (“there is no alternative”). In altre parole, per la prima volta dalla grande crisi finanziaria, i Treasury offrono un rendimento superiore all’inflazione. Gli investitori statunitensi non sono più costretti a esporsi a rischi eccessivi, e forse indesiderati, per mantenere il potere d’acquisto dei loro risparmi.

Se il recente ribasso dei listini di borsa fosse essenzialmente dovuto ai timori di recessione, il mese scorso i consueti investimenti rifugio come i Treasury a lungo termine o il franco svizzero avrebbero dovuto guadagnare terreno. Invece, non è stato così. Il ritorno di TIARA, segnalato da Jerome Powell alla riunione di settembre della Fed, oggi rappresenta una potente calamita che drena capitali dagli attivi con una remunerazione insufficiente rispetto al rendimento di un semplice conto di deposito.

Se, come prevediamo, non si svilupperanno pressioni inflazionistiche tali da costringere la Fed a dare un altro giro di vite ai tassi d’interesse, oggi potremmo trovarci nell’ultimo stadio della fase di normalizzazione della politica monetaria statunitense. Questo processo lungo, graduale e denso di colpi di scena, è iniziato più di cinque anni fa con Bernanke e il famoso “taper tantrum”. Da allora, le valutazioni di numerosi attivi come l’oro, i titoli dei mercati emergenti (che si sono mossi in parallelo alle aspettative di inasprimento della Fed) e persino alcune aree del mercato azionario come le small cap statunitensi e il settore tecnologico, hanno già registrato una correzione. Fino a poco tempo fa, questi attivi sfidavano la legge di gravità rappresentata dal rendimento della liquidità.

La recente ondata di vendita sui listini azionari potrebbe quindi essere interpretata come una salutare correzione, necessaria per ripristinare il giusto equilibrio. In questo contesto, visto il miglioramento delle valutazioni, le prospettive di crescita sempre favorevoli e l’inflazione moderata, preferiamo mantenere un’esposizione al rischio azionario nei portafogli. Evitiamo però di esporci alla duration e soprattutto al credito, per via dell’asimmetria tra guadagni e perdite potenziali. In parole povere, ora che la Fed sta cercando di eliminare la trentennale “Greenspan put”, i responsabili dell’asset allocation dovrebbero chiedersi se la duration continuerà a fungere da cuscinetto contro la volatilità dei mercati o se in futuro il settore del credito sarà ancora in grado di generare rendimenti ponderati per il rischio superiori a quelli delle azioni. Per controbilanciare il rischio azionario e stabilizzare la volatilità complessiva del portafoglio potrebbe quindi essere utile un’esposizione all’oro e alla valuta statunitense.

_Fabrizio Quirighetti

Sintesi del panorama economico ed esame dell’economia globale

Come ha osservato l’FMI, “nel complesso la crescita economica mondiale si mantiene solida […] ma sembra aver raggiunto una fase di ristagno”. L’esame degli indicatori dei livelli di crescita assoluti delle maggiori economie corrobora la tesi di una battuta d'arresto del trend di espansione. In alcune regioni del mondo le dinamiche cicliche continuano a rallentare, a fronte del rafforzamento del dollaro e delle tensioni sugli scambi globali che pesano sull'attività manifatturiera di Asia ed Europa. Tuttavia, la domanda interna di queste regioni mostra una buona tenuta e – a parte il livello generale del debito – l'assenza di eccessi di rilievo negli investimenti aziendali, nel settore degli immobili residenziali e dei consumi conferma lo scenario di una fase di ristagno ai livelli attuali destinata a durare per qualche tempo.

Malgrado il contesto fondamentalmente rassicurante, al momento il maggior ostacolo al clima di fiducia su entrambe le sponde dell’Atlantico è costituito dagli sviluppi politici. Negli Stati Uniti, Donald Trump potrebbe non avere del tutto torto a denunciare i rischi per la crescita connessi all’aumento dei tassi d’interesse da parte della Fed. Ciò nonostante, si guarda bene dal menzionare che l'attuale ciclo di inasprimento è giustificato dalla vivacità della crescita statunitense, alimentata proprio dalla sua politica fiscale. Dovrebbe anche tenere presente che l’aumento dei tassi d’interesse sarebbe stato meno deleterio per i mercati emergenti se, allo stesso tempo, questi non fossero stati penalizzati anche dai dazi statunitensi.

Anche in Europa potrebbe essere in atto un circolo vizioso simile. L’attivismo fiscale del governo italiano sta costringendo la BCE a mantenere saldo il corso di normalizzazione della politica monetaria, per evitare accuse di favoritismo, a dispetto dei dati economici persistentemente deboli della regione, che giustificherebbero un orientamento meno restrittivo.

Per questo motivo, le interferenze politiche nella gestione monetaria stanno facendo progressivamente aumentare il rischio che il rallentamento dell’economia finisca per penalizzare la solidità della domanda finale. Sebbene per il momento non ci sembra che si tratti di un pericolo imminente, è senz’altro un’eventualità da tenere presente.

 

Crescita

Il quadro di crescita globale si sta facendo sempre più polarizzato tra la dinamica positiva delle economie sviluppate, sostenute dalla vivacità della domanda interna, e il deterioramento delle economie emergenti, sulle quali pesano il rallentamento degli scambi commerciali e il rafforzamento del dollaro.

Indici PMI manifatturieri nazionali – Livello e variazione trimestrale
Nella maggior parte dei paesi, l'economia è ancora in espansione, ma sembra aver raggiunto una fase di ristagno
Indici PMI manifatturieri nazionali – Livello e variazione trimestrale
Fonte
SYZ Asset Management. Dati al: 25 ottobre 2018

Inflazione

A differenza delle dinamiche di crescita, i trend inflazionistici dei mercati sviluppati ed emergenti sono altamente sincronizzati, a parte alcune situazioni speciali come Turchia e Argentina. In quasi tutto il mondo l’inflazione si mantiene relativamente contenuta e positiva.

 

Orientamento di politica monetaria

Gli attriti commerciali tra Stati Uniti e Cina si stanno ripercuotendo sulle politiche monetarie dei due paesi, che stanno prendendo direzioni diverse, viste la progressiva normalizzazione dei tassi americani e le misure di allentamento adottate da Pechino. La politica monetaria si mantiene estremamente accomodante nella maggior parte dei paesi sviluppati non anglosassoni.

 

Economie avanzate

Alla luce del rallentamento della crescita in Cina e degli scambi globali, i consumi delle famiglie restano il principale motore di crescita nelle economie avanzate, grazie al tasso di disoccupazione basso o in contrazione, all’aumento delle retribuzioni e, in alcuni casi, alle politiche fiscali espansive. Questo non vale solo per gli Stati Uniti, dove la fiducia dei consumatori ha toccato livelli che non si vedevano dal 2000, ma anche (seppur in misura minore) per Europa e Giappone. Di conseguenza, l’attività del settore dei servizi continua ad essere un importante catalizzatore della durata del ciclo di crescita, dato che le dinamiche del settore manifatturiero risentono, in particolare in Europa, del rallentamento della domanda globale esterna. Va riconosciuto che il clima di fiducia europeo risente della perdurante incertezza politica causata dalla ribellione dell’Italia contro le norme fiscali dell’UE, dalla fine annunciata dell’era Merkel e delle imminenti elezioni europee, nelle quali i partiti populisti sperano di riportare una schiacciante vittoria. Tuttavia, questi fattori negativi non si sono ancora ripercossi sulla fiducia delle famiglie e per questo non rappresentano ancora una minaccia per la crescita economica.

 

Economie emergenti

Il rallentamento della crescita cinese, unito alle restrizioni commerciali, sta frenando le dinamiche di crescita di tutto il sud-est asiatico. È probabile che l’impatto complessivo dei dazi statunitensi non si sia ancora fatto sentire, dato che la Cina ha anticipato in sostanziale misura le esportazioni dei beni soggetti ai dazi doganali nel corso dell’estate e per questo motivo l’attività commerciale ha segnato una temporanea accelerazione. Sebbene questo rimbalzo sia inevitabilmente destinato ad esaurirsi, l’ampio pacchetto di misure di stimolo fiscale e monetario varato da Pechino dopo la primavera dovrebbe controbilanciare l’impatto del rallentamento delle esportazioni che si profila nei prossimi mesi.

In ogni caso, la decelerazione della crescita globale unita all’aumento dei tassi statunitensi si sta facendo sentire, in varia misura, sulla maggior parte dei paesi emergenti. Sebbene Turchia ed Argentina abbiano ormai superato la fase peggiore della crisi estiva, si trovano entrambe in una situazione ancora precaria. Dopo le elezioni brasiliane è aumentato il rischio di esecuzione delle radicali riforme necessarie per rimettere in carreggiata le prospettive fiscali del paese e garantirne la stabilità.

_Adrien Pichoud

Indice PMI dei servizi di Stati Uniti, Eurozona e Cina (>50: espansione)
L’attività del settore servizi, influenzata dalla domanda interna, continua ad accelerare
Indice PMI dei servizi di Stati Uniti, Eurozona e Cina
Fonte
Factset, SYZ Asset Management. Dati al: 25 ottobre 2018

Asset Valuation & Investment Strategy Group Review

Rischio e duration

Dopo la correzione di inizio ottobre, le valutazioni sono in generale migliorate, specialmente quelle dei titoli di Stato. Il contesto economico si mantiene nel complesso positivo, ma d’altro canto la crescita europea sta perdendo vigore.

La recente correzione può considerarsi un salutare ribilanciamento che ha innescato una svalutazione più consistente degli attivi, i quali finora erano rimasti immuni agli effetti del ciclo di normalizzazione dei tassi statunitensi. Non ci attendiamo un imminente rimbalzo e riteniamo probabile che nell’immediato futuro i mercati azionari si stabilizzeranno. Ciò nonostante, la volatilità potrebbe mantenersi relativamente elevata, con livelli superiori a 15 per VIX e VSTOXX, mentre dovrebbe proseguire la marcata rotazione settoriale. Questo periodo di maggiore volatilità potrebbe perdurare nel breve periodo a fronte dei rischi politici connessi alle vicende del governo italiano, alla guerra commerciale, alle elezioni di metà mandato negli Stati Uniti e ai negoziati sulla Brexit, che continuano a pesare sul clima di fiducia globale.

Non abbiamo pertanto modificato il nostro giudizio sul rischio, mantenendolo al livello di “propensione”.

Nell’attuale ciclo di normalizzazione statunitense, l’inflazione resta sotto controllo. Ciò risulta particolarmente vero dopo gli ultimi commenti della Fed, che ha segnalato l’intenzione di proseguire il ciclo di inasprimento oltre il 2018. È troppo presto per aumentare la duration, dato che a nostro parere in questo momento un’inflazione superiore alle attese o una forte accelerazione della crescita non rappresentano una minaccia concreta. Di conseguenza, manteniamo una lieve avversione nei confronti della duration.

“La recente correzione può considerarsi un salutare ribilanciamento, accompagnato da una più consistente svalutazione degli attivi, che finora erano rimasti relativamente immuni al ciclo di normalizzazione dei tassi statunitensi.”

Mercati azionari

Non abbiamo modificato le nostre preferenze. Fedeli alla tesi di un’esposizione concentrata nel settore azionario, seppure nel contesto di portafogli bilanciati, nell’asset allocation generale le nostre preferenze vanno sempre ai listini statunitensi, anche se negli ultimi mesi abbiamo indirettamente ridotto il sovrappeso in quest’area aumentando l’esposizione ai mercati azionari di Eurozona e Giappone.

Ad ottobre abbiamo apportato una modifica alla nostra allocazione azionaria declassando il Brasile a “lieve avversione”. Riteniamo che la fase di rialzo non durerà per sempre e dubitiamo che il nuovo presidente saprà dimostrarsi all’altezza delle elevate aspettative di riforma. Il rischio di una delusione per questa economia, viziata da forti squilibri, è pertanto notevole.

Per quanto concerne l’allocazione settoriale, l’energia è stata declassata a ”neutrale” a livello globale, mentre continuiamo a privilegiare settori difensivi come l'industria farmaceutica e la sanità. Negli Stati Uniti abbiamo mantenuto la preferenza per i titoli industriali e in Europa continuiamo a favorire i settori ciclici come le banche.

Esistono indubbiamente buone opportunità nei mercati azionari emergenti, tuttavia per il momento non riteniamo opportuno modificare sostanzialmente la nostra allocazione a favore di queste piazze. Continuiamo a monitorare la Cina, nei confronti della quale per ora confermiamo il giudizio di “lieve preferenza” in vista di un possibile innalzamento. Restiamo in attesa di un catalizzatore capace di dissipare le ombre che pesano sulle azioni cinesi e aspettiamo di vedere se le nuove misure di stimolo interne riusciranno a controbilanciare i timori di guerra commerciale, che iniziano a sembrare eccessivi. I dati cinesi continuano a deludere le aspettative, ma la politica economica si sta facendo più espansiva.

 

Mercati obbligazionari

Nell’allocazione di attivi obbligazionari, i titoli di Stato sono stati innalzati a “lieve preferenza” sulla scia dell’aumento dei tassi reali statunitensi. Di conseguenza, anche le obbligazioni indicizzate statunitensi sono state innalzate allo stesso livello. Al momento non abbiamo una preferenza tra obbligazioni indicizzate e nominali negli Stati Uniti, ma negli altri mercati sviluppati continuiamo a preferire le obbligazioni nominali.

Non si sono verificati cambiamenti nella nostra preferenza relativa per le obbligazioni societarie investment grade, sulle quali confermiamo il giudizio di “lieve avversione” rispetto a quelle high yield (“avversione”) e sul debito in valuta forte dei mercati emergenti (“lieve preferenza”) rispetto a quello in valuta locale (“lieve avversione”).

 

Forex, investimenti alternativi e liquidità

Abbiamo innalzato il giudizio sull’oro a “lieve preferenza”. A fronte dell’aumento dei tassi reali, innescato dalle dichiarazioni della Fed sul corso del ciclo di normalizzazione di tassi, che segnala la fine della repressione finanziaria, i rischi di ribasso dell’oro sono relativamente limitati. Il metallo giallo potrebbe beneficiare di uno scenario di stagflazione, nonché dell’aumento delle aspettative di inflazione, nel caso in cui la crescita metta a segno un netto recupero. Esso ha inoltre una funzione di copertura e diversificazione, in particolare viste le difficoltà del dollaro e dei Treasury USA a guadagnare ulteriore terreno in uno scenario di avversione al rischio.

Non abbiamo apportato ulteriori modifiche ai giudizi sulle valute, confermando la “lieve preferenza” per l’euro e lo yen giapponese rispetto al dollaro statunitense e l’”avversione” nei confronti del franco svizzero.